venerdì 18 gennaio 2013

Le iene

Regia: Quentin Tarantino
Attori: Harvey Keitel, Steve Buscemi, Tim Roth, Michael Madsen, Chris Penn
Genere: Hard boiled

Los Angeles. Un capo raduna sei rapinatori professionisti, in mezzo a loro c’è un infiltrato. Dovranno fare una rapina di diamanti. Questa però non andrà proprio bene.

Sono trascorsi 20 anni, eppure la potenza dirompente di Le Iene arriva sempre con lo stesso pugno sferzato in faccia, come la prima volta.
Dal 26 luglio 2012, nei cinema The Space è stato riproposto, per il suo ventesimo anniversario, il film che racconta di una gangster che si massacrerà a vicenda, nonché debutto di un giovane Quentin Tarantino, regista e attore nella pellicola.
Questo film ha dato inizio ad un modo di girare e ad un linguaggio preciso che, nel corso degli anni, ha fatto sì che questi siano stati identificati nel regista più irriverente e splatter che ci possa essere nel mondo cinematografico. Sfrontatezza, linguaggio scurrile e sangue zampillante, inquadrature dall’alto verso il basso, zoomate sui primi piani sono caratteristiche del regista. Tuttavia non si tratta di un vero e proprio genio. Dopo 20 anni, si parla di cinema tarantiniano, ma Quentin sa bene che non ha inventato (quasi) nulla. Come direbbe un protagonista di un suo film, lui ha “fottutamente” rubato dai migliori registi. Ha sempre ammesso di amare il cinema old-school al quale egli si ispira fortemente. I suoi film preferiti sono quelli girati tra gli anni ’40 e ’70. Non a caso, i suoi registi preferiti sono Sergio Leone, Brian De Palma, John Woo, Jean-Luc Godard, Martin Scorsese e Sergio Corbucci. E non solo. Le Iene si ispira palesemente a Rapina a mano armata del maestro Stanley Kubrick.
Quentin, esattamente come Stanley, sceglie una struttura diegetica, con continui flashback. Non c’è una linea temporale, è il pubblico che deve ricostruirla mentalmente.


Solo i primi 7 minuti appaiono lineari. Il film si apre con una disquisizione surreale. Proprio il regista, in veste di attore, che discute sul significato della canzone Like a Virgin di Madonna, ovvero «..parla di una ragazza che rimorchia uno con una fava così. Tutta la canzone è una metafora sulla fava grossa». La cinepresa gira intorno ai protagonisti, seduti intorno ad un tavolo di un bar. Altra discussione è riguardo la mancia. Uno di loro, si rifiuta di lasciare la mancia ad una cameriera perché è la società che glielo impone, «lasciarla solo perché si deve è una stronzata». 
È ovvio che, un gruppo di signori seduti ad una tavola calda, vestiti di nero, non può che essere un gruppo di malavitosi ed è altrettanto chiaro che l’argomento principale dell’incontro è un altro non palesato al pubblico che, tuttavia, capirà subito dopo. Ed eccoli, che camminano, a rallenty, sulle note di Little green bag di George Baker, pezzo che ha, in seguito, identificato il film. Da qui in poi, iniziano una serie di flashback martellanti. Tuttavia, nonostante gli andirivieni temporali, il film è diviso in tre capitoli. Questi sono dedicati ai cani da rapina principali. Il capitolo serve per spiegare sia la storia del personaggio, infatti sono intitolati con il soprannome assegnato dal loro Boss, un arrabbiatissimo Lawrence Tierney, sia per raccontare gli eventi accaduti. La sequenza non è né logica né temporale, sembra tutto casuale, eppure i vari tasselli narrativi sono facilmente raggruppabili in una storyboard lineare.
 Non a caso, subito dopo la scena fuori dal bar, il regista ci catapulta in un’auto, con un Harvey Keitel al volante e un Tim Roth agonizzante in un lago di sangue, colpito da un proiettile allo stomaco, sdraiato sul sedile posteriore. Si inizia con Mr. White, interpretato da Harvey Keitel, iena dal cuore tenero.


A seguire, c’è Mr. Blonde, interpretato da Michael Madsen. È lui il personaggio più folle, più sanguinario, più maniaco, più cattivo e dannatamente sexy. Epica è la scena della tortura, sadica quanto basta. A Mr. Blonde non gli importa che il colpo sia andato male. È stato proprio lui a sparare all’impazzata nel negozio e a rapire un poliziotto, il quale passerà le pene dell’inferno. Infatti dice al poliziotto «non me ne frega un bene amato cazzo di quello che sai, di quello che non sai. Tanto ti torturo lo stesso». E quando Mr. Blonde si muove sulle note di Stuck in the middle with you di Stealers Wheel dà sfogo alla sua “creatività”. Dalle botte più generiche, al taglio di un orecchio, fino al tentativo di dar fuoco allo sbirro, versandogli una tanica di benzina. E poi ecco il colpo di scena. Un semi svenuto Mr. Orange, interpretato da Tim Roth, la talpa del gruppo, spara al folle Mr. Blonde. E da qui inizia il terzo capitolo. 
Tutti gli altri personaggi compaiono all’interno di queste sezioni. Steve Buscemi, alias Mr. Pink, racconta la sua fuga con il malloppo, un Tarantino, Mr. Brown, che muore quasi subito con un colpo alla fronte, e un quasi assente Mr. Blue, interpretato da Edward Bunker. E infine c’è Eddie il bello, figlio del capo, interpretato da Chris Penn.


White, Blonde, Orange, Pink, Brown, Blue. Solo un colore non è stato assegnato anche se è presente in tutta la pellicola. Red. Ebbene, il rosso (sangue) è sempre presente.
Le iene è il film che ha consacrato Quentin Tarantino al successo di fama mondiale. Folgorante, violenta, sarcastica, Le Iene è un’opera corale e al maschile, dissacrante, brutale e cinica.
Gli attori, all’epoca non del tutto conosciuti dai più, sono straordinari. Inoltre c’è una cura per ogni minimo dettaglio. Dalle inquadrature dall’alto verso il basso, alla colonna sonora, dai dialoghi alla location. Nonostante il regista abbia realizzato questo film con un budget ridotto, Le Iene, anche dopo 20 anni, si conferma essere un cult. E ne danno prova tutti quelli che si sono ispirati al film. Dalla puntata dei Simpson in cui si vede la scena di Mr. Blonde riproposta da Grattachecca e Fichetto, al programma d’inchiesta targato Le Iene dove i giornalisti vestono in nero e indossano gli stessi occhiali da sole. E questi sono solo alcuni esempi di una lunga serie.


Voto: 5/5
Pubblicato su Roar Magazine

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